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lunedì 5 marzo 2018

L'importanza di essere blindati: Password sicure e sensate ma sempre segrete

Oggigiorno la scelta di buone password non è più solo utile ma indispensabile. Le buone password hanno però dei difetti, lunghezza minima, maiuscole, numeri, caratteri speciali (!?&%$) e tutto quello che serve per farsi dimenticare subito.
Noi abbiamo un metodo, lo vogliamo spiegare per non affidarsi al caso e fare con cura, la ricetta è PERSONALIZZARE, se la password è TUA non si dimentica.


1° passo - Scegliete un nome legato alla vostra vita. Per esempio, un protagonista dei cartoni animati dell’infanzia, la vostra squadra del cuore, il nome del cane, mai e poi mai il nome del vostro partner. 
Nel nostro esempio scegliamo Barbie

2° passo - Trasformate alcune lettere in numeri: 8arbie.

3° passo - Aggiungete in testa o in coda un numero facile da ricordare, come l’anno di nascita di un figlio o della fidanzata
8arbie12, oppure mettete le vostre iniziali in maiuscolo 8arbieSF

4° passo - Aggiungete un carattere speciale in testa o in coda come ($) e dopo il carattere speciale, aggiungete una parola legata al servizio da proteggere con password. 
8arbieSF$BANCA sarà la password della banca e 8arbieSF$MAIL sarà chiaramente quella della mail.

Quattro semplici passi per fare una buona password sicura senza doverla scrivere, male che vada riportate solo
$BANCA perchè il resto lo dovete tenere in mente.



SE USATE I SOCIAL o per fatti privati, non mescolate mai lavoro e piacere, fatevi una seconda password con lo stesso metodo.

In questo caso partendo da Brad Pitt o da George Clooney, mai dal vostro compagno, Pit7 oppure Cl00ney (sono zeri minuscoli), lasciate fuori anche i figli, specie se figli unici, troppo facile da scoprire.

Se non avete nulla di alternativo usate il vostro scrittore preferito o film o marca di caffè. quindi con il metodo sopra arriverete a:
Cl00ney&instagraM, Cl00ney&maiL oppure Pit7&facebooK.

  In questo caso non vi troverete mai a spiegare a Giorgio chi è Ludovico, se avete una password diversa che indica Aureliano Buendía, nessuno potrà mai farvi domende indiscrete. 

In ogni caso mai mescolare affari, lavoro con divertimento.

ULTIMO CONSIGLIO: se poi comunicate a qualcuno una vostra password, costui sarà in condizione di capire il sistema e violare ogni vostra presenza sul web, anche se salvate tutte le password in un posto accessibile, ma purtroppo per voi, per questa mancanza di furbizia non esiste alcun rimedio, se la mente non pensa, non si risolve

 

venerdì 17 novembre 2017

Demotivazione immotivata

Ovvero come tanti imprenditori, e manager, riescono ad ottenere (spesso inconsapevolmente e loro malgrado, anzi forse perchè si impegnano molto) un calo della motivazione e della produttività nelle loro aziende.
Quella della demotivazione (e della scarsa produttività conseguente) è una piaga che rappresenta anche il principale costo della NON qualità all’interno delle aziende.
Non bisogna sforzarsi per comprendere quanto possa costare ad un’impresa rischiare di perdere i propri migliori collaboratori, accrescere il numero di quelli che decidono di “fare giusto il loro dovere” e rafforzare quanti operano ad un livello di “funzione minima irriducibile”.

Il brutto della demotivazione è che molti imprenditori e manager non accettano di considerarsi la principale causa di questo fenomeno. Quindi scaricano le colpe all'esterno: gli altri  non mi capiscono, sono degli animali, sono solo invidiosi e avidi, non si impegnano e sono ignoranti! (collaboratori e dipendenti ovvio). 
Il bello sarebbe che per abbattere questo costo non serve aggiungere alcun costo, basta un cambio di atteggiamento e un conseguente adeguamento delle pratiche incentivanti e retributive in direzione di una sana meritocrazia o quantomeno non smaccatamente orientate alla demeritocrazia. Non è così facile perchè, anche se sembra smaccatamente normale (meno che geniale), è un atteggiamento razionale, ma molti non ci arrivano nemmeno a capire questo concetto.
Esempio: Anche se è pagato proprio tanto, l'amico Marchionne (non nostro) ha detto che a Monza il risultato gli ha fatto schifo, anzi gli sarebbero girate. Risultato di questa esternazione, nelle gare successive è andata molto peggio. Squadra demotivata, alto stress e grande sfiga, non hanno permesso di raggiungere risultati migliori ma sono peggiorati in tutto. Bravo Marchionne, ma lui è sicuro che è colpa di un altro ed il suo stipendio quindi non cambierà.

Il minimo comune demotivatore:
Quella che segue è una sorta di “espressione matematica” per favorire e promuovere l’improduttività aziendale, diffondere il malcontento e fare in modo che le migliori risorse inizino ad organizzarsi per andarsene.

Ci sono tre fattori:
1. Le migliori risorse, i tuoi “top performer”, i migliori produttori, collaboratori, venditori hanno già un piede fuori dalla porta (oppure hanno la testa altrove, rivolta verso nuove e più incentivanti opportunità).
2. I collaboratori nella norma, i “mid performer”, quelli che svolgono con diligenza il loro lavoro pur non raggiungendo mai delle prestazioni eccezionali, si chiedono cose tipo: “ma chi me lo fa fare di dare più di così se non ne ricavo dei vantaggi?”
3. Le risorse improduttive i “low performer” si sentono perfettamente a loro agio e si radicano all’interno della tua organizzazione riuscendo talvolta ad occupare proprio i posti lasciati vacanti dei top performer migrati altrove.

A questo accade che i “low performer” del punto 3 riescono ad influenzare verso l’improduttività i “mid performer” del punto 2 grazie agli errori che hai fatto ti imprenditore o manager nei confronti dei “top performer” del punto 1.
È “matematico”, succede pressoché sempre così, per questo quella dell’improduttività si può definire “un’espressione matematica” o “una formula”.

Non succede a caso, non sei stato sfortunato, non hai sbagliato a scegliere le persone, non capitano tutte a te, semplicemente hai applicato (spesso inconsapevolmente e tuo malgrado) la formula e questa ti ha dato “matematicamente” il suo risultato.

Un esempio lampante è quando chi produce meglio e di più, riceve “in premio” il lavoro di chi produce di meno, senza che vi siano conseguenze penalizzanti per chi trascura il lavoro, o incentivanti per chi invece se ne fa carico.

Molti manager saranno anche bravi a contare i soldi che producono (per le loro tasche), ma come tanti politici inetti, molti altri hanno la responsabilità di gruppi sociali o lavorativi che non rendono affatto, perchè è matematico chiedersi: Se tu sei solo un avido leccaculo, perchè io, pagato 1000 volte meno di te, devo essere abile, efficiente ed impegnato? Il caso Telecom è la milionaria liquidazione ad un management tanto avido quanto inefficace sono esempi scritti sui giornali.












domenica 5 novembre 2017

Il vuoto perfetto

"Il re rimase stupito alla vista della figura. Camminava rapidamente, muovendo su e giù la testa, e chiunque avrebbe potuto scambiarlo per un essere umano vivo..." Una cosa inanimata che si muove per conto proprio è autómaton, dicevano i Greci. Se poi quella creatura possiede un apparato meccanico dotato di facoltà che appartengono all'uomo, se cioè emula l'uomo nei caratteri della sua vita inimitabile, il nome di automa le spetta a pieno diritto. Il primo automa che fantasia ricordi è femmina: quella Pandora realizzata con la creta da Efesto molto prima che iniziasse la storia degli uomini. Di professione fabbro, Efesto aveva forgiato tripodi semoventi per convegni divini, statue d'oro animate che lo servivano come schiave e perfino un colosso di metallo di nome Talos posto di guardia all'isola di Creta, creatura a mezza strada tra l'organico e il metallico, con un corpo di bronzo attraversato in una gamba da una vena sanguigna e in quel punto soltanto vulnerabile. Se Pandora, in quanto femmina ottenuta dalla creta, è un ginoide pseudo-meccanico, tutto il mondo antico conta automi favolosi. Ovvio che ad un certo punto ci fosse qualcuno che ne costruisse dei veri. Come Archita di Taranto, matematico del IV secolo a.C. che per primo creò automi reali: una colomba automatica e un cervo volante. Il mago Virgilio presente negli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (1213). Vescovo di Napoli, aveva costruito una mosca meccanica che per molti anni tenne lontane dalla città le mosche vere. Poiché questo Virgilio non sembra essere mai esistito, la sua mosca è una vera fantasia meccanica. Come la farfalla che Nathanaël Hawthorne colloca nel racconto L'artista del bello (1844): vi si narra la storia di un orologiaio che, alla ricerca dell'assoluto, giunge a isolare la bellezza in una sensibile farfalla meccanica, creatura che scolorisce di fronte al dubbio. 
I costruttori di automi hanno pensato di far giocare a scacchi le loro macchine, di farle suonare, scrivere, disegnare, ammiccare, ma mai di farle parlare. L'ispirazione giunge all'inventore dopo molti anni di meditazione, e proprio da uno dei famosi automi di Vaucanson: l'anatra che mangia, fa quaqua, digerisce ed espelle quel che ha mangiato. Ecco: dal deretano dell'anatra giunge all'inventore – in una simbiosi di meccanica e anatomia – l'idea delle labbra che parlano.Vestito con un abito ornato di perline, il turco troneggia su una pedana: sguardo torvo, raggianti occhi di vetro, baffetti di seta. L'automa è composto da 2199 pezzi di cui 1789 servono per farlo parlare. Quando il meccanismo è azionato si sentono dapprima dei rintocchi, seguiti da un stridore di ingranaggi. Il turco si muove, batte i piedi, alza una spalla, gira la testa, solleva le sopracciglia, gonfia il petto come per respirare. L'inventore preme un pedale e libera aria che, tramite alimentatori e mantici, risale verso un somiere. Le labbra d'argento si schiudono mostrando una lingua di metallo, e con una lentezza esasperante la voce tanto attesa, leggermente distorta, scandisce quattro sillabe: «Viva il Re!». 
L’attrattiva per l’ideazione di congegni capaci di muoversi come se dotati di vita si muove dai fratelli Banū Mūsā e al-Jazari della civiltà araba, Leonardo da Vinci e gli artigiani di Norimberga nel Rinascimento, fino alle anatomies mouvantes di Jacques de Vaucanson e agli automi di Pierre Jaquet-Droz e di Henri Maillardet. Da un’indeterminata età delle macchine, solenni e scultorei nella loro immutabilità imperitura, emergono i miraggi meccanici di Kazuhiko Nakamura. Le figure femminili di Nakamura, per quanto a prima vista letali, serbano difatti l’aura di ieraticità nostalgica ma imperturbabile delle bambole meccaniche presenti nelle trasposizioni artistiche, ad esempio, della figura dell’Olympia di E.T.A. Hoffman, della Coppélia, balletto pantomimico, della Danza delle Bambole Meccaniche dello Schiaccianoci di Pëtr Čajkovskij, fino allo struggente ballo di Casanova con una bambola meccanica sull’acqua ghiacciata del Canal Grande nell’omonimo film di Federico Fellini.

domenica 29 ottobre 2017

Si dispensa dalle visite




Il cordoglio (dal latino cor-dolium - doglia che ferisce il cuore) è il processo di reazioni o il travaglio interiore sperimentato da chi vive una perdita. Elemento centrale del cordoglio nelle società popolari è il pianto e il lamento funebre rituale, le cui tracce si perdono nella notte dei tempi Una volta diffuso più o meno in tutti i paesi d'Europa e del Mediterraneo, oggi è decisamente decaduto ed è confinato, in Italia, a rarissime aree interne della Basilicata (le "Prefiche lucane"), della Puglia, della Calabria, della Sardegna e nel centro-Nord, con modalità abbastanza diverse e non tutte con l'accezione arcaica del termine.
Già nell'antica Grecia si ricorre, per i funerali, alle donne specializzate nel piangere che esaltano, a chiome sciolte, i meriti del defunto: un rituale che svolgono con voce malinconica, spesso tirandosi via dalla capigliatura copiose ciocche. L'uso è citato da Omero nell'Iliade quando narra dei singhiozzi di Briseide sull'ucciso Patroclo, oppure quando descrive l'atroce spettacolo del cocchio di Achille che trascina il corpo di Ettore.
Anche nella Roma classica, le lamentatrici, chiamate Prefiche, hanno una parte importante nel corteo funebre, dove seguono i portatori di fiaccole levando altissime grida di dolore alternate alle lodi del defunto (Neniae o Mortualia). Risale proprio a questa civiltà il nome dato a queste lamentatrici.
Infatti, il termine "prefica" deriva dal latino praeficere, ovvero stare a capo, guidare. In questo caso, guidare il pianto: tanto che lo storico latino Festo, le definisce «donne chiamate a lamentare il morto che danno alle altre il ritmo del pianto». L'uso delle lamentatrici e del lamento funebre fu proibito, nei suoi eccessi, a Roma dalla legge delle XII tavole.

La lamentazione, la gestualità, proprio perché fatta da professioniste del pianto, sembrerebbe nascondere, più che un vero e proprio dolore verso il defunto, un'operazione apotropaica di allontanamento della morte.
Anche il rito di chiudere gli occhi al cadavere, legato certamente alla pietà verso il defunto, ha soprattutto - si crede - la funzione latente di difendersi dalla sua pericolosità oggettiva, poiché gli occhi aperti potrebbero contagiare e attrarre alla morte i superstiti.

Molti sono i riti funebri che l'antropologia ha studiato e spiegato. Essi vanno dalla vestizione del morto, al già riferito pianto rituale; dalla morte reale alla morte metaforica (con la sospensione della vita domestica, la trasformazione dell'abitazione del defunto in funzione del morto durante i giorni della veglia funebre, il lutto dei parenti superstiti); dalla veglia funebre, intesa come dimensione privata del lutto, ai funerali, interpretati come dimensione pubblica del lutto. Rituali, questi, che servono principalmente per favorire il passaggio della persona estinta da defunto a morto, ossia dallo status negativo di corpo senza viva che può contagiare, a quello positivo di antenato che vigila sulla famiglia. Relegati i funerali in forma privata, nel chiuso dei cimiteri, dimenticato spesso il cordoglio pubblico (nei manifesti funebri di frequente si legge: "si dispensa dalle visite"), la morte assume, nel mondo contemporaneo i tratti di un evento indifferibilmente presente, ma accuratamente negato, rimosso o, ancor più gravemente, travestito da un incomprensibile e impietosa quotidianità.
Ecco, allora, che quel sentimento di familiarità con la morte si affievolisce sempre di più. La ritualità e il culto che ne contraddistinguono il sentimento, scompaiono. La morte diventa, nella società globalizzata, un tabù e al morente è negata finanche la verità sulla sua condizione di persona che sta per abbandonare questa vita. Anche i riti funebri si svuotano della loro carica drammatica e simbolica.

Il lutto rigido è ormai considerato uno stato sproporzionato che si deve abbreviare e cancellare nel più breve tempo possibile. Dopo l'allontanamento dei morti dal luogo dei vivi (le sepolture passarono dalle chiese a luoghi specifici fuori la cinta muraria della città), imposto dalle leggi napoleoniche nel 1804, ora sembra indebolito anche il legame sociale e culturale con i defunti.

Indubbiamente la società post-moderna ha spensieratamente indebolito la propria capacità di mettere a fuoco il grande tema della morte, argomento che ha alimentato per millenni, come abbiamo studiato, lo sviluppo delle civiltà, ma rimuovendo il pensiero della morte, arrivando finanche a banalizzarla, innegabilmente svalutiamo il dono che è la vita.I funerali variano molto nel loro svolgimento, nei loro significati, nei loro simboli: in alcune società, per esempio, il simbolo del lutto è il nero, in altre il bianco ‒ per esempio nell'induismo e nel mondo islamico (Islam). I riti funebri presentano tuttavia alcuni tratti comuni. Ovunque essi riuniscono il gruppo in cui la morte ha creato un vuoto; consentono una espressione controllata del dolore; sono manifestazioni concrete delle credenze religiose di chi vi partecipa; infine essi forniscono l'occasione di ricordare il defunto e, insieme, di congedarsi da esso e dal suo corpo. In molte società esistono poi riti e forme di culto dei morti successivi al funerale. Possono essere legati alla memoria di una singola persona (come gli anniversari) o alla collettività dei defunti, come avviene nel giorno dei morti celebrato dai cristiani il 2 novembre, istituita da Cluny tra il 1024 e il 1033, punto chiave di quella nuova commemorazione liturgica dei morti.












sabato 14 ottobre 2017

Trendy Hot Halloween

Halloween non nasce in America ma ha origini antichissime rintracciabili in Irlanda, quando la verde Erin era dominata dai Celti. Halloween corrisponde infatti a Samhain, il capodanno celtico. Dall’Irlanda, la tradizione è stata poi esportata negli Stati Uniti dagli emigranti, che, spinti dalla terribile carestia dell’800, si diressero numerosi nella nuova terra. - https://www.irlandando.it/halloween/storia/
Halloween non nasce in America ma ha origini antichissime rintracciabili in Irlanda, quando la verde Erin era dominata dai Celti. Halloween corrisponde infatti a Samhain, il capodanno celtico. Dall’Irlanda, la tradizione è stata poi esportata negli Stati Uniti dagli emigranti, che, spinti dalla terribile carestia dell’800, si diressero numerosi nella nuova terra. - https://www.irlandando.it/halloween/storia/
Halloween non nasce in America ma ha origini antichissime rintracciabili in Irlanda, quando la verde Erin era dominata dai Celti. Halloween corrisponde infatti a Samhain, il capodanno celtico. Dall’Irlanda, la tradizione è stata poi esportata negli Stati Uniti dagli emigranti, che, spinti dalla terribile carestia dell’800, si diressero numerosi nella nuova terra. - https://www.irlandando.it/halloween/storia/

Halloween ha origini antichissime rintracciabili nella vecchia Irlanda, corrisponde infatti a Samhain, il capodanno celtico. Dall’Irlanda, la tradizione è stata poi esportata negli Stati Uniti dagli emigranti.
Il passaggio dall’estate all’inverno e dal vecchio al nuovo anno veniva celebrato con lunghi festeggiamenti, lo Samhain (pronunciato sow-in), deriverebbe dal gaelico samhuinn e significa “summer’s end”, fine dell’estate. 
Anticamente, in questo periodo dell’anno i frutti dei campi erano assicurati, il bestiame era stato ben nutrito dell’aria fresca e dei pascoli dei monti e le scorte per l’inverno erano state preparate. 
La comunità, quindi, poteva riposarsi e ringraziare gli Dei per la loro generosità. Ciò avveniva tramite lo Samhain, che, inoltre, serviva ad esorcizzare l’arrivo dell’inverno e dei suoi pericoli, unendo e rafforzando la comunità grazie ad un rito di passaggio che propiziasse la benevolenza delle divinità.
Dunque una bella ed importante festa, che potrebbe diventare hot and cool.
Ogni anno nelle stradine di Edimburgo molti eventi attendono i turisti: Crack night: castagne e caldarroste da gustare calde. Jack – o – Lantern: lanterne fatte di zucche che illuminano il paese, Trick or Treat: dolcetto o scherzetto eseguito da bambini e da adulti,Tour notturno del terrore tra lapidi e bare,Mele caramellate: un dolce molto apprezzato dai bambini.

Nella cattolica Italia, Halloween sta prendendo piede soprattutto per i bambini, e non vorremmo mai negare una festa ad un bambino, ma non solo. Molti adulti si pitturano e si vestono e si preparano vagando nelle strade per una folle notte di canti, balli e sesso.

A Comacchio Fantasmi che si aggirano per ponti e canali, cortei di zombie, per celebrare la notte più 'spaventosa' dell'anno.
Streghe e fattucchiere che si aggirano per le strette vie del centro storico,  zombie spaventosi, che sorvolano il cielo notturno nella notte più “terribile” e magica dell’anno. Comacchio festeggia e si diverte, ma per coloro che volessero partecipare numerose attività organizzate a tema
, concorsi in maschera, dimostrazioni di magia, spettacoli di fuoco, sfilate funebri con zombie e mostri, esibizioni musicali. 

Tutto questo in una notte intensa e piena di emozioni terribili. Non scordate la zucca, il mistero e la magia. Sia uno spaventoso Halloween a tutti.
Tanto il giorno dopo è festivo e si può riposare, messi a dormire i bambini,   scatenatevi senza remore ed inibizioni, è propiziatorio.









venerdì 6 ottobre 2017

Latte e coccole

Il latte è fonte di vita! Lo sapevano bene a Roma la cui fondazione è legata al mito Romolo e Remo, che, una volta abbandonati, furono  allattati da una lupa e con ciò salvati da una morte certa. Oggigiorno latte e derivati vengono usati quotidianamente e sono introdotti nella preparazione di diverse pietanze che si ritrovano sulle nostre tavole.  Senza dubbio il componente principale del latte è l’acqua, ma ritroviamo anche grassi, glucidi, proteine, sostanze minerali e vitamine, che nell’insieme ne fanno una bevanda altamente nutriente e salutare. Il latte inoltre stimola la produzione di serotonina (detta “l’ormone del buonumore”) nell’organismo, che dà un senso generale di benessere e di rilassamento, ecco perché un buon bicchiere di latte prima di andare a letto, ad esempio, favorisce il sonno.Se poi decidiamo, nelle serate di pioggia di regalarci qualche coccola prima di dormire possiamo aggiungere al nostro bicchiere di latte un pò di allegria e profumo con fiori di camomilla e lavanda.Notte! Leggi altre ricette nella nostra pagina dedicata alla cucina Info Cibus