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Girovagando con mente, corpo, anima ed i soldi che hai




Arriva Santa Lucia!!


Santa Lucia da Siracusa nacque nel 283 e morì martire, durante le persecuzioni di Diocleziano, il 13 dicembre 304.
La sua festa liturgica ricorre quindi il 13 dicembre, in prossimità del solstizio d’inverno e proprio per questo motivo esiste il detto: “Santa Lucia il giorno più corto che ci sia”.
In alcuni luoghi Santa Lucia viene festeggiata e fa le veci di Babbo Natale.
In alcune regioni del nord Italia, come il Trentino, il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, l'Emilia e il Veneto esiste una tradizione legata alla Santa, il 13 dicembre, giorno della sua morte. I bambini le scrivono una letterina, dicendo che sono stati buoni e si sono comportati bene per tutto l'anno, e chiedendo in regalo dei doni. Preparano del cibo e delle carote sui davanzali delle finestre, per attirare la Santa e il suo asinello e poi vanno a letto perché se la Santa arriva e li trova alzati lancia loro della cenere o della sabbia negli occhi e li acceca. E’ considerata la protettrice degli occhi, degli oculisti, degli elettricisti e degli scalpellini e viene spesso invocata nelle malattie degli occhi.

Numerose sono le città italiane dove si festeggia la Santa, ma solo in alcune zone del Nord Italia, porta i doni al posto di Babbo Natale.
A Brescia, Bergamo e Mantova i bambini ricevono i regali di Natale il 13 dicembre anzichè il 25 dicembre. A Bergamo i bambini lasciano dei biscotti e del latte per la Santa, che passerà durante la notte per lasciar loro i regali.
In alcune città della Sicilia, tra cui Palermo, il 13 dicembre si mangia riso al posto del pane e della pasta e si preparano arancini e una pietanza, la cuccia, a base di grano cotto.
A Verona c'è il Mercatino di Santa Lucia, che solitamente dura tre giorni. Anche qui la Santa passa nelle case dei bambini nella notte del 13 dicembre per portare doni.
A Bologna c'è la Fiera di Santa Lucia più antica d'Europa. Si tratta di un vero e proprio Mercatino di Natale che si protrae fino al 26 dicembre.

Santa Lucia è venerata in molti paesi del Nord Europa: in Svezia, in particolar modo, la festa fu introdotta nel 1920. Il 13 dicembre gli Svedesi celebrano il solstizio d'inverno (che in realtà, con l'introduzione del Calendario Gregoriano è slittato al 21 dicembre). In questo giorno, una ragazza vestita di bianco, con una corona di candele accese sulla testa, viene scelta per impersonare Santa Lucia ed è scortata in processione da altre ragazze vestite di bianco e da ragazzi vestiti da elfi.

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Il Ponte delle Anime




Nella storia dell'umanità tutte le culture hanno prodotto delle credenze riguardo al destino dei defunti, hanno immaginato luoghi in cui continuare una vita ultraterrena, hanno strutturato dei rituali per accompagnare il defunto verso il suo "grande viaggio". Tutto questo per dominare la paura ma, allo stesso tempo, per ricucire il tessuto connettivo del gruppo, per riorganizzare le dinamiche interne della comunità che ha subito la perdita: «Tra tutti gli esseri viventi, l'uomo [ è ] la sola specie per la quale la morte biologica, fatto di natura, si trova continuamente superata dalla morte come fatto di cultura» (L. V. Thomas, Antropologia della morte, Milano, Garzanti, 1976).
Sin dall'inizio della civiltà, la morte è ritenuta un fenomeno estraneo all'originaria natura dell'uomo.

Già dalla preistoria l'uomo si è sforzato di sottrarre l'evento della morte alla natura per conferirgli un significato e dare senso alla vita stessa. Proprio nel Medioevo nacque la famosa credenza del "Passo di San Giacomo", luogo di passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti. La leggenda racconta che san Giacomo il Maggiore si lamentò con Dio perché il luogo in cui riposavano le sue spoglie, che si trova in Galizia (nel nord-ovest della Spagna), non era visitato dai pellegrini. Dio rispose di non preoccuparsi, perché «chi non ti visiterà da vivo ti visiterà da morto».

Da allora, molti pellegrini che si recano al santuario di san Giacomo in Spagna, sentono battere continuamente una porticciola invisibile: si crede siano le anime dei defunti che, per volere divino, vanno a onorare il santo prima d'avviarsi al loro destino.
La località in cui fu eretto il santuario di san Giacomo si trova esattamente nel luogo in cui furono ritrovate le spoglie del santo martire Giacomo il Maggiore. Anche il ritrovamento delle spoglie del santo è legato a una leggenda che vede un eremita attirato da una pioggia di stelle sul monte Libredòn scoprire la tomba del santo. Quel luogo oggi si chiama Santiago di Compostela, ossia san Giacomo del campo delle stelle. L'etimologia popolare del nome "Compostela" fa derivare dal latino Campus Stellae (campo di stelle), ma è poco probabile che una tale denominazione tenga conto della normale evoluzione dal latino al galiziano-portoghese. Infatti, una ipotesi più probabile relaziona la parola con il latino compositum, e il volgarismo latino locale composita tella, con il significato di "terreno per le sepolture" in senso eufemistico.

La leggenda nata intorno a san Giacomo il Maggiore è legata alla credenza che la zona di Santiago, prima del viaggio di Cristoforo Colombo nel 1492, fosse il limite estremo conosciuto della terra, la finis terrae. Quindi, il punto in cui le anime dei morti iniziavano a seguire il sole nel suo corso per attraversare il mare e giungere alla nuova dimora.

Il "Passo di san Giacomo", chiamato anche "Ponte delle Anime", "Scala di san Giacomo di Galizia", "Cammino di San Giacomo", è creduto "sottilissimo come un capello", o come "una lama di coltello". È un percorso considerato piuttosto pericoloso, formato di spade, pugnali, coltelli, chiodi, spine e rovi nudi e irti sui quali l'anima cammina dopo l'agonia. Esso si innalza sopra un baratro, mettendo in comunicazione questo e l'altro mondo. Se i giusti lo attraversano agevolmente, i cattivi sono destinati a cadere nel baratro. Alla fine di questo "ponte" l'anima buona e purificata finalmente arriva alle porte del Paradiso. San Giacomo, con bordone e cappello da viaggiatore, accompagna il defunto confortandolo, quindi lo conduce aiutandolo e lasciandolo alla fine del cammino.


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Nella Bella Verona.....

Da secoli Verona fa rima con Amore. E se Shakespeare ne ha consacrato il nome ambientando nella città scaligera l’indimenticabile “Romeo e Giulietta”, è impossibile pensare a città migliore per celebrare la propria festa degli innamorati. Ogni anno, nei giorni di San Valentino, Verona vi accoglie tra i suoi luoghi più affascinanti e storici per farvi vivere un evento romantico, emozionante e unico: Verona in Love! Le piazze del centro, Piazza Bra, Piazza dei Signori e Cortile Mercato Vecchio in particolare, sono i cuori pulsanti dell’evento. Piazza dei Signori ospita da tradizione Un Cuore da Scoprire, il suggestivo mercato di bancarelle disposte a cuore dove trovare idee regalo a tema e curiose creazioni per la festa degli innamorati, mentre il vicino loggiato di Fra’ Giocondo diventa Loggiato in Love, una particolare area degustazioni dove poter conoscere rinomati prodotti dolciari e vini della tradizione veronese. In Cortile Mercato Vecchio non perdete Il Messaggio del Cuore, la particolare bacheca dove poter lasciare un messaggio o una dedica d’amore al vostro innamorato, o il Sigillo d’Amore, la pergamena che suggella il sentimento tra voi e il vostro amato con un simbolico sigillo in ceralacca.
Sarà la musica della rassegna Live in Love a fare da sottofondo a tutti gli appuntamenti, fermandosi solo per dare spazio alla pioggia di coriandoli colorati e a forma di cuore chiamata Soffi d’Amore, sotto la quale migliaia di innamorati potranno scambiarsi un bacio lungo un minuto.

Per chi ama scrivere lettere d’amore, ogni anno, nel giorno di San Valentino si tiene la consegna del premio “Cara Giulietta”, destinato alle più belle e appassionate lettere d’amore scritte alla giovane Capuleti da innamorati di tutto il mondo. Ma Verona in Love è anche luminarie d’amore lungo le vie del centro storico, vetrine di negozi allestite a tema, ingressi agevolati ai monumenti di Giulietta, suggestive rappresentazioni teatrali . Nel giorno degli innamorati si può anche rinnovare la promessa di matrimonio nonché celebrare le proprie nozze presso i locali comunali ad esse dedicate (casa di Giulietta, cappella dei Notai, sala degli Arazzi, casa dei Guarienti). Si tiene a Verona anche l'edizione di Giulietta & Romeo Half Marathon, la gara di 21 chlometri che gli atleti percorreranno diretti verso Piazza Bra, attraversando anche l'Arena, riempiendo come ogni anno le strade del centro tra gli incitamenti del pubblico.

E’ d’obbligo suggerirvi un piccolo B&B La Casa Coloniale situato nel centro di Verona dove pernottare e per la sera di San Valentino potete incantare la vostra dolce metà con una cena all’Enoteca Segreta  in una saletta riservata per solo due persone. 



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Mojito maremmano 


Oggi voglio parlarvi di un posto dove non dovete andare, dove non fanno il migliore mojito della Toscana, dove non si è immersi in una natura genuina. Ecco cosa vi consiglio di non fare.In provincia di Grosseto si trova un piccolo paese che si chiama Alberese, posto all’interno del Parco Naturale dell’Uccellina. Ad Alberese c’è un tabaccaio, un giornalaio che vende dei cappelli di paglia davvero belli, due bar, una gelateria, una lavanderia e un minimarket gestito da due fratelli che con le rispettive mogli e prole tengono aperto tutti i giorni nel periodo estivo. Quasi ognuno di questi negozi noleggia biciclette, per raggiungere la spiaggia all’interno del parco, Marina di Alberese, luogo pressoché incontaminato raggiungibile in auto – numero limitato di ingressi a pagamento, in bus o appunto in bicicletta – 16 km circa fra andata e ritorno. 
Lungo la ciclabile che collega il paese alla spiaggia si incontrano cavalli, mucche, daini e cinghiali, impossibile annoiarsi! Vi spiego cosa non dovete fare. Sveglia presto verso le 8, per fare colazione e preparare gli zaini con tutto l’occorrente – fondamentali acqua e cibo se non volete spostarvi dalla spiaggia visto che i 3 bar sono un po’ all’interno. Partenza in bicicletta verso le 9, arrivo verso le 10, spiaggiamento immediato. Da quel momento fino alle 17 vi annoierete tantissimo prendendo il sole, facendo bagni rinfrescanti, leggendo e ascoltando musica. Ma ecco che si avvicina il momento-mojito, che troverete al vostro ritorno al bar Magi: ghiaccio tritato, ingredienti dosati nel modo giusto, olive e arachidi. E in quel momento decidete dove andare a cena. Ma non andateci. Non fatevi tentare dalle mie parole. È un posto che deve rimanere incontaminato, cosa dite, ci vado solo io e poi vi racconto? 
Venite a leggermi su

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Il Manhattanhenge

Si sta avvicinando il 12 luglio ed in queste giornate particolarmente soleggiate ci viene in mente quanto sia bello e suggestivo il Manhattanhenge. Il nome, sebbene strano, ci garantisce uno degli spettacoli naturali più affascinanti che se siete fortunati potete ammirare tra i grattacieli di New York. Noto anche come “solstizio di Manhattan”, corrisponde al momento in cui il sole, tramontando, si allinea perfettamente con il reticolato di strade che attraversano l’isola di Manhattan da est ad ovest. La luce del disco solare che filtra tra i grattacieli è uno spettacolo mozzafiato, senza dubbio uno dei tramonti più belli che potrete godere a New York e non solo.
Il termine è un neologismo tra Manhattan e Stonehenge, il famoso sito di monoliti in Inghilterra, dove ogni anno in molti si radunano per assistere al mistico allineamento del sole con la pietra principale di accesso, in occasione del solstizio d’estate. A coniare questa fortunata e significativa definizione è stato l’esperto di astronomia Neil deGrasse Tyson che ha trovato nella particolare circostanza del solstizio di Manhattan un parallelismo con Stonehenge, tempio druidico del Wiltshire, dove il sole si allinea perfettamente con la pietra del tallone del monumento. Il fenomeno, a New York, si verifica 2 volte all’anno, approssimativamente attorno al 28 maggio e poi verso il 12 luglio. 
Le date variano in funzione del solstizio d’estate, che ogni anno non cade esattamente lo stesso giorno. Il fenomeno del Manhattanhenge è ben visibile da qualsiasi strada che attraversa Manhattan lungo l’asse est-ovest, anche se l’astrofisico Neil deGrasse Tyson consiglia di guardarlo dalla 14th, 23rd, 34th, 42nd, 57th Street: queste sono le 5 strade migliori da cui godersi il tramonto.
Il consiglio che posso darvi è di portarvi sul Tudor City Bridge, il passaggio pedonale sopraelevato vicino alla Grand Central Station, nonché sull’ Empire State Building o sul Chrysler Building.
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Signori, in carrozza!

Dracula in Dracula di Bram Stoker fugge dall’Inghilterra via mare: Van Helsing, Harkers, Seward, Lord Godalming, Morris e Mina vogliono precederlo a Varna (Bulgaria) e…prenotano i posti sull’Orient Express. Georges Nagelmackers era un industriale belga che nel 1876, dopo un viaggio ispiratore negli Stati Uniti, fondò la Compagnie Internationale des Wagons-Lits creando un mito chiamato Orient Express, probabilmente il più famoso treno della storia, di certo quello che ha ispirato il maggior numero di libri e film di successo. Nei tempi d'oro questo lussuoso albergo sui binari univa Londra con Istanbul, con un complesso trasbordo a Calais e un lungo girovagare per l'Europa che toccava Colonia, Vienna, Belgrado, Sofia e finiva sulle rive del Bosforo. 
Ma negli anni l'itinerario è cambiato tante volte, e il tragitto forse più noto è quello che partiva dalla Gare du l'est di Parigi e passava per Venezia, per poi bucare la Cortina di ferro e giungere sferragliando fino in Turchia. una volta arrivati a Istanbul molti dei passeggeri (tra cui spesso Agata Christie) attraversavano il Bosforo per entrare in un'altra stazione, Haydarpaşa, da cui negli anni Trenta e Quaranta partivano treni per Aleppo, Baghdad, Damasco, Beirut e fino al Cairo, anche se la linea non era completata e molte tratte erano da percorrere in auto.
In Assassinio sull'Orient Express (1934), Agatha Christie si sottomette alla sagacia di un mistero con Hercule Poirot e un cadavere in una stanza chiusa, un modello nel suo genere. Come poteva un uomo essere pugnalato nella sua cabina, quando la porta era chiusa dall'interno? L'elenco degli indagati fornisce un campione della fauna cosmopolita che abitavano il treno fin dalla sua nascita: un colonnello dell' India britannica, un uomo d'affari italiano, due governanti tedesca una, inglese l'altra, un missionario svedese, un diplomatico ungherese, una vecchia principessa russa, un venditore texano..."In tutta la mia vita, ho voluto prendere questo prestigioso treno. In Francia, ho spesso ammirato l'Orient Express Calais " Agatha Christie confidò nella sua autobiografia. In privato, conta una sessantina di viaggi fatti su questa linea leggendaria, dove ha trascorso anche la sua luna di miele. 
La Christie riprende il tema nel racconto Hai tutto quello che ti occorre? con il detective Pyne Parker nella raccolta Parker Pyne indaga. Da allora tante cose sono cambiate nel trasporto internazionale, e l'Orient express è andato in soffitta. Il 12 dicembre 2009 l'ultima corsa ufficiale: l'Euronight 469 Orient Express partì da Strasburgo diretto a Vienna. Dopo 126 anni di quello che si dice «onorato servizio» l'Orient Express spariva dagli orari ufficiali europei. Ma la fine era stata già sancita negli anni Settanta, quando l'Orient Express smise di unire l'occidente con il vicino Oriente. Oggi sopravvive come treno di extra lusso tra Venezia e Parigi, ma è un'altra cosa. Difficile che a bordo ci sia quel carico di storie e solitudini, di speranze e intrighi internazionali che hanno reso l'Orient Express quel che è per l'immaginario collettivo. Difficile anche che scrittori come Graham Greene o Agata Christie lo scelgano come teatro di qualcuno dei loro libri. Difficile anche che accada ancora quel che succedeva a inizio Novecento quando il convoglio attraversava la Bulgaria. All'epoca il re Ferdinando I amava salire a bordo e sostituirsi al macchinista, per dar libero sfogo alla sua passione per treni e trenini. Più probabile, però, che un novello James Bond possa fare capolino in questi nuovi treni di lusso. 

In Dalla Russia con amore (1957), di Ian Fleming, 007 deve liberarsi di una spia sovietica responsabile del lavoro sporco, mentre l'Orient Express passa attraverso un tunnel: "Viaggeremo in treno. Sull'Orient Express. Parte alle nove di questa sera. Credi che non ci abbia pen­sato? Non voglio rimanere un minuto di più a Istanbul. All'alba avremo già passato la frontiera. Devi procurarti i biglietti e un passaporto. Io viaggerò con te come tua moglie. Quasi pericolosa l’idea dell’episodio 8 della serie animata Le nuove avventure di Lupin III, dal titolo "L'Orient Express", è ambientato sull'Orient Express, quando nel 1981 il celebre ladro e la sua banda decidono di rubare i gioielli di un ricco scommettitore che viaggiava sul celebre convoglio.
 Dalla romantica atmosfera dei gialli raffinati di Agata Christie alla più sfrontata fantascienza dell'episodio VIII dell'ottava stagione del telefilm Doctor Who che è ambientato in un'astronave che è una fedele riproduzione dell'Orient Express, in cui una mummia tenta di uccidere ad uno ad uno tutti i passeggeri. Di questo passo (sulle rotaie) verso l’idea della serie animata Galaxy Express 999, ambientata nell'anno 2021, in un futuro ad alta tecnologia, dove una rete ferroviaria interstellare si estende ormai per tutta la galassia, treni spaziali fanno servizio ogni giorno.

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La Dotta, la Grassa, la Rossa e la Turrita



Alcune città italiane hanno un soprannome che ne ricorda l’origine storica o che le descrive: Roma, “la città Eterna”; Venezia, “la Serenissima”; Firenze, “la Bella”.
Bologna di soprannomi ne ha tre: “la Dotta, la Grassa, la Rossa”, anzi quattro .... la Turrita per il numero di torri presenti nell’antichità ora ridotte solo a venti. Il primo è dovuto alla presenza di un’università che risale al 1088, la più antica del mondo occidentale;il secondo caratterizza al meglio la tradizione della sua cucina sostanziosa e opulenta: si mangia più a Bologna in un anno che a Venezia in due, a Roma in tre, a Torino in cinque e a Genova in venti” (Ippolito Nievo, Confessioni di un italiano, 1867). Il terzo per i riflessi dei mattoni con i quali fin dal medioevo sono stati costruiti torri e palazzi ma, in epoca più recente, il colore rosso ci fa pensare alle “Rosse” Ducati e Ferrari che, assieme a Lamborghini e Maserati, fanno di Bologna e della sua regione la “terra dei motori”. Il suggestivo centro storico, uno dei meglio conservati d’Europa, dove si elevano antichi palazzi e chiese ricchi di opere d’arte, è caratterizzato dai suoi 40 chilometri di portici, che rendono la città unica al mondo. Fin dal 1100, quando la crescita dell’Università spinse a inventarsi nuovo spazio urbano, i portici sono diventati un luogo pubblico e privato, di socialità e commercio, salotto all’aperto simbolo stesso dell’ospitalità bolognese. 


Il portico di San Luca, che lega la città al santuario del Colle della Guardia, è il più lungo al mondo (3.796 metri e 666 arcate). Salirvi a piedi è tradizione in caso di grazie ricevute, da quelle serie a quelle più leggere, come un aiuto in amore o per un esame. “Sovente, alle due di notte, rientrando nel mio alloggio, a Bologna, attraverso questi lunghi portici, l’anima esaltata da quei begli occhi che avevo appena visto, passando davanti a quei palazzi di cui, con le sue grandi ombre, la luna disegnava le masse, mi succedeva di fermarmi, oppresso dalla felicità, per dirmi: Com’è bello!” (Stendhal, Voyages en Italie, 1826). È proprio antico il fascino di Bologna. Come un’ombra, percorre da secoli i vicoli del centro storico, i sotterranei e i portici che hanno reso celebre nel mondo la città, ma pochi conoscono i segreti, gli enigmi e i gialli del capoluogo emiliano. Come la necropoli dei vampiri emersa dalle viscere della terra durante i recenti scavi per l’alta velocità, o il codice mai decifrato inciso sulla Pietra di Bologna. Nella storia locale ci sono stati anche personaggi controversi come Girolamo Menghi, il più grande esorcista del Cinquecento, i cui libri furono inseriti nella lista dei testi proibiti dal Vaticano. Questa signora altera dai molti volti, è anche quella delle chiese che seguono i percorsi segreti dell’antica città d’acque, di antichi culti dedicati a divinità dimenticate, della Madonna nera che sembra voler schiacciare un serpente lungo 666 archi (Da Porta Saragozza al Colle della Guardia). E poi? 


La Piccola Venezia, (in via Piella, vicino al numero 16 di fianco alla Trattoria Dal Biassanot) una serie di canali, di chiuse e di chiaviche consentivano la navigazione mercantile e l’alimentazione di mulini, tintorie, fornaci ed opifici. Un bellissimo scorcio su Canale delle Moline si può godere appunto da questa finsestrella. 
Canabis Protectio (Angolo tra Via Indipendenza e Via Rizzoli sotto la Torre Scappi, sulla volta del portico che dà su via Indipendenza) “Panis vita, canabis protectio, vinum laetitia“: questa è la scritta completa che si trova sulle tre volte del portico di Via Indipendenza all’incrocio con Via Rizzoli. Il pane è vita, la cannabis è protezione, il vino è gioia. Protezione nel senso di ricchezza derivante proprio dal commercio della canapa.  
L’erezione del Nettuno (Piazza Maggiore) esiste addirittura un segno sulla pavimentazione della piazza che indica la posizione per ammirare il risultato: una pietra nera vicino all’ingresso della Sala Borsa. Si dice che Giambologna abbia creato questo effetto perché il cardinale che aveva commissionato la fontana aveva richiesto all’artista una “riduzione” per il gigante Nettuno. L’artista effettuò la riduzione ma non rinunciò a questo scherzo.  
Il Voltone del Podestà (sotto Palazzo del Podestà in Piazza Maggiore). Provate a posizionarvi ai due angoli opposti (in diagonale). Ora ditevi qualcosa, rivolti verso le colonne.Non vi sentite benissimo, anche se siete lontani? La leggenda vuole che la volta di Palazzo del Podestà, che si trova sotto la torre dell’Arengo, trasmetta suoni da un angolo all’altro, per fare in modo che in epoca medievale anche i lebbrosi potessero confessarsi.
Le tre frecce (Strada Maggiore 26 sul soffitto di legno del portico all’ingresso di Corte Isolani). Sotto il portico in legno di Strada Maggiore, proprio davanti all’ingresso di Corte Isolani, vi sono conficcate tre frecce. La leggenda vuole che tre briganti si trovassero lì per uccidere un signorotto bolognese. Una fanciulla, affacciandosi nuda ad una finestra, li distrasse. Le frecce partirono ognuna in una direzione diversa e si conficcarono nel soffitto, facendo così fallire l’attentato. 
Il vaso rotto in cima alla Torre degli Asinelli Incrocio tra Via Rizzoli, Via Zamboni e Strada Maggiore Si dice che rappresenti la capacità di Bologna nella risoluzione dei conflitti.  Panum resis, (Via Zamboni 33 Palazzo Poggi) si dice che in una delle cattedre della storica sede dell’Università di Bologna ci sia incisa la frase “panum resis” ad indicare la conoscenza come base per ogni scelta.
La sala da ballo liberty, (Via Indipendenza 4, Palazzina Majani) fu realizzata all’inizio del ‘900 da Augusto Sezanne in stile liberty come sede per il café e il negozio della Majani, la famosa cioccolateria bolognese. La parte superiore dell’edificio ospitava un tempo un café, una tea house e una sala da ballo. Da sotto si può vedere il portico con le colonne, i capitelli e il terrazzino in stile liberty, completamente diverso da tutto ciò che lo circonda.
 Il complesso delle sette chiese, (Piazza Santo Stefano) è un complesso religioso chiamato delle “Sette Chiese”, dove sorge in realtà la Basilica di Santo Stefano. Tutto il complesso era inizialmente formato da sette edifici di culto collegati tra loro. Ora sono rimasti solo quattro, ma il nome è rimasto.Dalla piazza si vedono la chiesa del Crocifisso, la chiesa del Sepolcro e la chiesa dei Santi Vitale e Agricola (più due sarcofagi che custodiscono i resti dei primi vescovi della città). Un tempo, pare, c’era un tempio dedicato a Iside e la Basilica vi fu costruita sopra per volere di San Petronio, vescovo di Bologna, che intendeva realizzare una copia del Santo Santo Sepolcro di Gerusalemme. E quindi anche Bologna val ben una messa!!

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Pace e bene


Dimenticare le ansie ritirandosi nelle frescura dei borghi monastici diventati alberghi? Sì ma, secolarissimi, laici, senza frati né suorine. Al bando dunque abbazie gelide e affollate di conversi che si trascinano tra foresterie scomode e chiostri antichi odorosi di minestrina. Certo la pace e il silenzio conventuali seducono ancora, purché con tocchi chic.
L’Italia pullula, dal nord al sud, di pievi, conventi, borghi parrocchiali recuperati come hotel o agriturismo. Per molti italiani stressati da lavoro, mancanza di tempo, ingiustizie, la formula antiansia è il convento a picco sul mare o immerso nei boschi. E alla cura dell’anima contribuiscono allure, servizi impeccabili, cucina raffinata, camere ben arredate, spa e piscine. Perché alla sera ci si ritrova in comodi salotti e alle passeggiate tra i boschi seguono aperitivi in terrazza e menu gourmand.



L’Hotel Schloss Sonnenburg, in collina, è un castellotto tirolese che domina la Val Pusteria. Fino all’anno Mille residenza nobiliare, poi convento per ragazze dell’aristocrazia locale, oggi chi varca grandi volte, al salone della badessa da cui parte il corridoio gotico che conduce al giardino, rendez-vous dell’estate all’ora dell’aperitivo. Invitano al raccoglimento il chiostro, il giardino di aiuole fiorite e l’orto delle erbe officinali, oltre 250, utilizzate per il menu. Nessuna rinuncia però a tavola, a cominciare dalla prima colazione: grande buffet dolce e salato, salmone affumicato, formaggi, salumi, diversi tipi di pane, torte fatte in casa. La cucina è tipica tirolese ma alleggerita nei condimenti, dagli knodel di speck o spinaci, alla selvaggina con composta di ribes rosso. Una nota ai buongustai: proprio con l’alimentazione si controllano gli sbalzi emotivi, mentre contro l’ansia e i disordini da stress vanno bene la vitamina C e il ribes. Si dorme in suite con pavimenti di legno, soffitti affrescati e pesanti tendoni, o in camere più piccole rivestite di legno e con soffitti mansardati. Per il relax, la grande sala di lettura, tante escursioni a piedi nei dintorni e soprattutto il centro benessere.
Meta ideale per ritemprarsi è l’Hotel de charme Cappuccini, convento cinquecentesco di cappuccini francescani ai piedi del Monte Orfano, in Franciacorta, poche camere poste nell’ex fienile cui sono stati dati i nomi dei confratelli di San Francesco, tutte con camino travi a vista, pavimenti in vecchio cotto e cassettoni dell’Ottocento. Sobrietà e rigore coniugato al comfort: questa la regola dell’albergo. La cantina, con oltre 500 etichette, è accanto all’antico pozzo per la
raccolta dell’acqua piovana e alla liquoreria che si rifà alla tradizione monastica dei distillati. Per le feste, c’è l’antica cappella, che si sviluppa su due piani illuminati da grandi vetrate e soffitti a volta. Da mettere in programma una passeggiata nello straordinario roseto di San Giacomo, tra ulivi secolari e piante da frutto, tripudio di profumi e colori. Vale uno sguardo anche il giardino di erbe aromatiche e, per il relax serale, la piscina di acqua salata con vista sui vigneti. Per chi desidera una pausa di meditazione c’è la grotta del silenzio, dove isolarsi dal mondo.
Ad Arco esiste, invece, un luogo dove è sufficiente muovere un giro di chiavi per lasciarsi alle spalle il caos e la frenesia urbana e dove è possibile immergersi in un mondo che definire ovattato è dire poco, perennemente avvolto in un silenzio che regala pace e serenità. Tutti gli arcensi, almeno una volta nella vita, hanno cercato di gettare lo sguardo al di là della muraglia di cinta che corre lungo via Mantova fantasticando, con la mente, sugli spazi racchiusi dalle antiche pietre infilate una sopra l'altra che danno forma al monastero delle Serve di Maria Addolorata che oltre mezzo secolo fa sono stati abbandonati dalle suore, ritiratesi nell'ala a nord del compendio. Oggi questi spazi sono stati acquistati da una società con l'intento di realizzare il primo AgriBic, una sorta di complesso che sarà improntato alla valorizzazione dei prodotti agricoli (in primis l'olio di oliva altogardesano), all'interscambio culturale fra Paesi diversi, all'esposizione fieristica, al commercio, al ristoro, alla profusione della storia del luogo, alla promozione delle energie rinnovabili e naturalmente alla ricettività, trasformando questa parte di convento, grazie ad una variante urbanistica, in un albergo di prestigio da 4 stelle superior o addirittura 5 stelle.. Erano circa settant'anni che in questa parte di convento non si aggirava anima viva, eccezion fatta per un breve periodo in cui alcune stanze sono state utilizzate dalle suore per via dei lavori di sistemazione del compendio nord. Varcata la soglia del monastero si compie un autentico salto indietro nel tempo. Avventurandosi all'interno si trovano le stanze utilizzate per il lavoro delle suore, la lavanderia con il focolare per la lisciva, la “sala da ballo”, i lunghi corridoi perimetrali, il portone di accesso sul quale troneggia, appesa alla facciata esterna ed unico caso in regione, l'Aquila imperiale (era stato l'imperatore Leopoldo a finanziare la costruzione del monastero). Proseguendo oltre ci si imbatte nell'edificio riservato alle novizie (collegato con il mondo esterno) e nelle scalinate di accesso al piano superiore, dove sul maestoso corridoio (adoperato dalle suore di clausura per le preghiere della notte) si affacciano ancor oggi quelle che erano minuscole e spartane stanze da letto. Tutti gli elementi, dalle finestre alle porte fino ai pavimenti, rappresentano un patrimonio storico e culturale che non ha pari. Ma la vera ricchezza è il giardino esterno: protetto dalle grandi mura diventa un'oasi dove sono banditi rumori e ogni tipo di stress. Sullo sfondo la rupe del castello impreziosisce ulteriormente la scenografia. Un microcosmo autonomo (dotato di un piccolo mulino, ancora funzionante, e di un cimitero in cui sarà ricavata una cappella) posto a due passi dalla civiltà ma lontano anni luce dal normale scorrere del tempo.

Proseguendo il nostro viaggio purificatore sulla costa adriatica, in una delle più belle oasi naturalistiche italiane, il Monte Conero, si trova ospitalità di buon livello e rifugio sicuro per lo spirito. L’Hotel Monte Conero, sulla vetta a 552 metri sul mare, è un’abbazia camaldolese costruita intorno alla Badia di San Pietro, fondata nell’anno Mille. Nella foresteria sono state realizzate nove suite e cinquanta camere arredate con sobrietà, nel rispetto dello stile romanico. Al centro del cortile, la bella chiesa, ristrutturata dai monaci benedettini dopo un furioso incendio che la distrusse nel 1558. Un grande parco privato invita a passeggiate verso le terrazze a picco sul mare. Dal promontorio, infatti, si abbracciano con lo sguardo le solitarie spiagge del litorale del Conero, la verde e armoniosa campagna marchigiana, e, all’orizzonte, i Monti Sibillini. Chi ama il trekking può partire da uno dei sentieri del Parco del Monte Conero, scegliendo tra ben 18 itinerari, differenti per durata e difficoltà. Il più spettacolare conduce alla spiaggia delle Due Sorelle di Sirolo, attraverso il Passo del Lupo: 500 metri di dislivello tra corbezzoli, ginestre, lezzi e pini.
Sulla terraferma, a Napoli, abbraccia l’intero golfo l’hotel San Francesco Convento, del monastero cinquecentesco di Santa Lucia al Monte si conservano ancora il refettorio, il chiostrino dei padri, la cappella e il forno, che rinnova il ricordo delle lunghe notti in cui il pane era cotto senza sosta per sfamare i poveri della città. Le celle dei frati sono diventate cinquanta stanze all’insegna di una ricercata e sobria eleganza che non tradisce la vocazione originaria del luogo. Tutte affacciate sul Golfo di Napoli. Su ogni porta c’è un frammento di affresco con i ritratti dei vecchi padri francescani. E poi soffitti a volta, colori pastello, maioliche dipinte, atmosfere che invitano al silenzio. L’ultimo piano ospita il giardino pensile: dove un tempo c’erano gli orti dei frati, oggi una piscina scavata nella roccia tufacea, quasi mimetizzata nel verde e con vista superba su Napoli, invita al relax più assoluto. Un sentiero privato conduce alla Vigna di San Martino, che si arrampica fino all’omonima certosa: proprietà del gallerista Peppe Morra e di pochi altri appassionati che la aprono volentieri agli ospiti dell’albergo. Si passeggia fra tralci di Aglianico e opere d’arte ammirando la città dall’alto. Due i ristoranti: i Barbanti – dal nome dei frati per la loro lunga barba – e la Terrazza per cene en plein air con vista sul Golfo, il Vesuvio e Capri.
Nello scenario da sogno della Costiera Amalfitana, sul promontorio di Conca dei Marini, davanti al golfo di Salerno e a panorami sempre sorprendenti, chi vuole rigenerarsi, ritrovare la forma psicofisica può fermarsi al Monastero Santa Rosa. Si tratta di un antico monastero del ’600 ristrutturato ed adibito ad hotel e spa già nel 1924 ma, è dal 2012 che il Monastero si è trasformato in luxury hotel, fatto per accogliere i clienti più esigenti e viziarli. Fiore all’occhiello del Monastero Santa Rosa è l’incantevole spa, luogo in cui ogni donna almeno una volta nella vita dovrebbe entrare, collocato tra le mura originarie del convento seicentesco, trasformato in una location per “Termae” speciali. Qui ci si potrà concedere trattamenti rigeneranti nel “Tepidarium”, riposando su panche-mosaico riscaldate e poi passare al pediluvio con acque all’essenza di melograno. Se si preferisce il getto della doccia, invece, ecco pronte le docce emozionali basate sulla terapia del colore, mentre se si desiderano esperienze più forti si può passare nella “Sauna Rocciosa” con la “Fontana di ghiaccio”.Ma il top è rappresentato dalla “Spa Suite”: una spa nella spa di 80 m2 appositamente creata per sole coppie e che contiene il Rasul, l’antico bagno turco, tutto il necessario per i trattamenti corpo, area relax e giardino privato.Dopo le coccole dedicate alla bellezza si potrà indossare uno sfavillante abito da sera e cenare con piatti cucinati dallo chef internazionale Christoph Bob. Le ricette sono preparate secondo le più tipiche tradizioni della dieta mediterranea, con ingredienti biologici e dall’etichetta di denominazione di origine protetta e controllata.

Insomma, questo percorso è solo il tragitto verso il paradiso!


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I ponti del diavolo




“Al Diavolo!, alla diavola, avere il Diavolo nell'ampolla, avere un Diavolo in corpo, avere un Diavolo per capello, buon Diavolo, come il Diavolo e l'acqua santa (andare d'accordo come il Diavolo e l'acqua santa; vedersi come il Diavolo e l'acqua santa; essere come il Diavolo e la croce), del Diavolo, essere un Diavolo in carne (essere un Diavolo in carne e ossa; essere un Diavolo incarnato), fare il Diavolo a quattro (far il Diavolo e peggio; fare il Diavolo e la versiera), fare il Diavolo e la Versiera, fare la parte del Diavolo, fare un patto col Diavolo, il Diavolo non ci andrebbe per un'anima, mandare al Diavolo (andare al diavolo), parere il Diavolo in un canneto, per tutti i diavoli!, ponte del Diavolo, povero Diavolo, se il Diavolo non ci mette la coda!, tirare il Diavolo per la coda (lisciar la coda al Diavolo), tirare le orecchie al Diavolo, trovare il Diavolo nel catino (raro). Arrivare troppo tardi, in genere per usufruire di un beneficio.


I cosiddetti Ponti del Diavolo, realizzati in epoca longobarda, sono così denominati in quanto, secondo una leggenda, divennero visibili ai cittadini all’improvviso, da un giorno all’altro, come per una magia demoniaca. E, alla loro comparsa, spaventarono i cittadini a causa della loro insolita e lugubre forma appuntita, ravvisabile negli inediti archi a sesto acuto.  Per la prima volta, in un’epoca ancora di architettura romanica, fu utilizzato l’arco ogivale, tipicamente gotico; solo dall’anno 1000 in poi l’arco ogivale sarà utilizzato in altri acquedotti. E nell’Italia Meridionale (e probabilmente anche in quella settentrionale) l’arte gotica non era ancora approdata; gli unici esempi di archi ogivali erano (forse) in Francia. Dunque, i Ponti del Diavolo godono di questo importante primato, rappresentando una grandissima innovazione, rispetto al periodo in cui furono edificati.

Dall’acquedotto di Salerno per il Ponte della Maddalena di Lucca, fino a Cividale del Friuli pur non conoscendone il nome senti che c’è magia se non addirittura maleficio nell’aria. Com’è già noto, la leggenda, simile in tutte le località prese in considerazione, narra che un capomastro piuttosto che dei cittadini in un borgo sulle rive del fiume, incaricati di costruire un ponte tra i due borghi, siccome il lavoro procedeva lentamente, presi dallo sconforto e dalla disperazione per il disonore che sarebbe derivato nell’ultimare il lavoro fuori dal tempo pattuito, accettavano la proposta di un uomo d’affari, sotto le cui sembianze si nascondeva il diavolo, che prometteva di terminare il ponte in una sola notte. In cambio di questo favore costui voleva l’anima della prima persona che avrebbe attraversato il nuovo ponte. Il giorno successivo gli abitanti del borgo si svegliarono e trovarono il ponte terminato. L’artigiano ricevendo i complimenti delle persone, raccomandò loro di non oltrepassare il ponte prima del calar del sole, momento in cui fece passasse un maiale per primo: il Diavolo arrabbiato per essere stato giocato si buttò nelle acque.

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Quel che passa il convento



Lo stress si accumula giorno dopo giorno e il tempo libero diminuisce proporzionalmente, i problemi quotidiani sembrano insormontabili, il bisogno di guardarsi dentro e di staccare da tutto è sempre più un'esigenza. Vi riconoscete in questo ritratto? Non preoccupatevi, non è un problema solo vostro, ma sempre più diffuso. Tanto che una delle ultime tendenze tra i viaggiatori di tutte le età è una vacanza, più o meno breve, in monastero. Senza spostarsi troppo da casa, anche nel nostro Paese è possibile sottrarsi alla frenesia e immergersi pienamente nella quiete spirituale e introspettiva.
A Bardolino (VR), sul lago di Garda, si trova l'Eremo di San Giorgio. Fondato nel 1663, è stato abbandonato in seguito alla soppressione napoleonica e dal 1885 ospita una comunità camaldolese, che - seguendo la tradizione di ospitalità da sempre caratteristica del monachesimo - offre i propri spazi a coloro che vogliano condividere la regola benedettina dell'ora et labora. La permanenza è generalmente dal lunedì al venerdì sera, durante la quale è richiesto di partecipare alla vita liturgica e al cammino spirituale proposto. 
 
 
L’Abbazia di Praglia è sorta ai piedi dei colli Euganei a circa 12 chilometri da Padova lungo l’antichissima strada che conduceva ad Este. L’Abbazia, fondata negli anni tra l’XI e il XII secolo,  rimase fino al 1304 una dipendenza dell’Abbazia di S. Benedetto in Polirone di Mantova. L’ospitalità benedettina è un’esperienza pienamente spirituale, umana e culturale: una piccola finestra sul chiostro della vita per contemplare il senso del cammino nell’orizzonte infinito della speranza, ascoltando il silenzio del cuore nella comunione della Parola. S. Benedetto, seguendo la tradizione monastica dedica il cap 53 della sua Regola al tema dell’accoglienza degli ospiti; i monaci hanno fatto di questo capitolo un tratto caratteristico della loro vita. In passato l’ospitalità era rivolta in gran parte a poveri e pellegrini, ma oggi sembra avvertirsi maggiormente un bisogno di raccoglimento e di ricerca spirituale da parte dell’uomo moderno, per cui i monasteri sono diventati sempre più luoghi di accoglienza e di risposta verso queste esigenze. Così come viene tracciato dalla Regola di San Benedetto, il cammino quotidiano della comunità monastica viene articolato fondamentalmente nella preghiera, nella Lectio Divina, nel lavoro e nella vita fraterna. 

Oltre al quotidiano servizio fraterno e all’impegno stabile nei vari ambiti di vita del monastero, i monaci a Praglia si occupano in alcune specifiche attività lavorative: nel Restauro del libro antico, nella Cosmetica “Apis Euganea”, nell’Erboristeria “Pratalea”, nell’apicoltura, nella coltivazione della vigna e nella cantina, nella pubblicazione di opere a carattere monastico e spirituale con la collana “Scritti Monastici”.
Nella laguna di Venezia nei pressi di Burano e di Torcellola piccola isola di San Francesco del Deserto
ricca di storia e di spiritualità.Si presenta come un ciuffo di verde che emerge dall’acqua.

E’ abitata dai Frati Minori fin dal 1230 circa.La tradizione ritiene che san Francesco vi sia passato nel 1220.
Il Santo scelse l'isola per fondarvi un ricovero dove fosse possibile pregare e meditare in pace, lontani dalla mondanità.
Nel XV secolo, abbandonata l'isola ed il convento per le condizioni ambientali divenute ormai inospitali, la zona fu successivamente adibita a polveriera dagli Austriaci, sino a che nel 1858 il terreno venne donato alla Diocesi di Venezia, che consentì ai frati di rifondarvi il monastero, tuttora attivo.

http://www.sanfrancescodeldeserto.it/J25/index.php?lang=en Il Santuario della Corona è luogo di silenzio e di meditazione, sospeso tra cielo e terra, celato nel cuore delle rocce del Baldo. Documenti medievali attestano che già intorno all’anno Mille nell’area del Baldo vivevano degli eremiti legati all’Abbazia di San Zeno in Verona e che almeno dalla seconda metà del 1200 esistevano un monastero ed una cappella dedicata a S. Maria di Montebaldo accessibili attraverso uno stretto e pericoloso sentiero nella roccia. Una pia tradizione collocava la nascita del Santuario della Madonna della Corona nel 1522, anno in cui la scultura qui venerata sarebbe stata miracolosamente traslata per intervento angelico dall’isola di Rodi, invasa dall’armata mussulmana di Solimano II, ma la datazione viene smentita dall’esistenza, nei recessi dell’attuale Santuario, di un dipinto di una Madonna con bambino, di fattura trecentesca, che costituì la prima immagine venerata nell’originaria chiesetta, che da essa prese nome. Tra il 1434 ed il 1437 S. Maria di Montebaldo, passò in proprietà ai Cavalieri di San Giovanni, o del Santo Sepolcro, presenti a Verona dal 1362 come commenda di San Vitale e Sepolcro, che conservarono la proprietà del Santuario fino allo scioglimento con provvedimento napoleonico nel 1806. A questo periodo sembra risalire il gruppo in pietra della Pietà poi venerata come Madonna della Corona. Alta 70 centimetri, larga 56 e profonda 25, la statua è in pietra locale dipinta. La statua poggia su un piedistallo recante la scritta “HOC OPUS FECIT FIERI LODOVICUS D CASTROBARCO D 1432″, tradizionalmente considerata come prova che la statua venne fatta realizzare e donata alla Corona nel 1432 da Lodovico Castelbarco, proveniente da una nobile famiglia roveretana. Nei quattro secoli di gestione, la Commenda trasformò radicalmente la Madonna della Corona, facendola diventare un autentico Santuario capiente ed accessibile grazie alla sistemazione del ponte in legno di accesso a valle (1458) e alla costruzione sopra la preesistente di una nuova chiesa, di circa 18 metri per 7 (1490- 1521). Nel corso del Cinquecento vennero realizzate le due scale di accesso tuttora visibili: la più ampia, di 556 gradini, che dalla fonte di Spiazzi, poi denominata “Fonte dell’Indipendenza”, scendeva al ponte del tiglio, e quella più stretta, di 234 gradini, ricavata nella roccia lungo l’originario strettissimo percorso che conduceva dal ponte alla chiesa.



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FESTA DI HALLOWEEN DI COMACCHIO
 

Torna anche quest'anno l'ormai tipica FESTA DI HALLOWEEN DI COMACCHIO: perchè così rinomata? Sicuramente la suggestiva ambientazione di questa città lagunare, ricordata anche come "La Piccola Venezia", è indicata come una delle più idonee località turistiche dove rivivere tutta la particolarità di questo evento: Fantasmi si aggireranno tra canali ed i suggestivi ponti. Cortei di zombie, streghe e fattucchiere celebreranno la notte più SPAVENTOSA dell'anno. Anche quest'anno la Festa sarà funzionante dalle prime ore del mattino con una serie di spettacoli che si protrarranno per tutta la giornata, offrendo agli spettatori spettacolari momenti suggestivi arrivando all'imbrunire ed alla ancora più suggestiva e particolare notte fonda.

http://www.comacchio.it/index.php/eventi/volontariato/item/235-torna-halloween-a-comacchio




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Estero: Alla scoperta di nuove mete


Le isole Lofoten sono un arcipelago della Norvegia che si estende a Nord-est.
Le Lofoten si trovano oltre il circolo polare artico. Nonostante ciò, il clima è caratterizzato da temperature piuttosto miti principalmente grazie alla corrente del Golfo. La temperatura minima registrata nel 2009 è stata di -13.1 °C, il 7 febbraio, mentre la massima di 26.6 °C il 3 agosto.
Il turismo è molto sviluppato: in inverno le condizioni meteorologiche non permettono una visita accurata della zona, ma è comunque possibile sciare e ammirare l'Aurora boreale; in estate invece si può assistere al fenomeno del sole di mezzanotte.
Sono state sviluppate significative attività museali (il grande museo vichingo di Borg, ed il museo di storia militare e l'esposizione di sculture di ghiaccio di Svolvær); attività escursionistiche marittime e terrestri, ed un'intensa attività di scalate montane, per le quali le montagne delle Isole (il "Lofoten Wall") sono celebri.
Le scogliere degli uccelli: All'estremità meridionale delle Lofoten trovate Røst e le sue numerose isole e scogli. Questo gruppo di isole ospita la più grande colonia di uccelli di tutta la Norvegia: circa un quarto degli uccelli marini del Paese vengono a nidificare qui. Qui si trova anche il faro Skomvær, l'ultimo avamposto con vista sull'Oceano Atlantico.

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