domenica 5 novembre 2017

Il vuoto perfetto

"Il re rimase stupito alla vista della figura. Camminava rapidamente, muovendo su e giù la testa, e chiunque avrebbe potuto scambiarlo per un essere umano vivo..." Una cosa inanimata che si muove per conto proprio è autómaton, dicevano i Greci. Se poi quella creatura possiede un apparato meccanico dotato di facoltà che appartengono all'uomo, se cioè emula l'uomo nei caratteri della sua vita inimitabile, il nome di automa le spetta a pieno diritto. Il primo automa che fantasia ricordi è femmina: quella Pandora realizzata con la creta da Efesto molto prima che iniziasse la storia degli uomini. Di professione fabbro, Efesto aveva forgiato tripodi semoventi per convegni divini, statue d'oro animate che lo servivano come schiave e perfino un colosso di metallo di nome Talos posto di guardia all'isola di Creta, creatura a mezza strada tra l'organico e il metallico, con un corpo di bronzo attraversato in una gamba da una vena sanguigna e in quel punto soltanto vulnerabile. Se Pandora, in quanto femmina ottenuta dalla creta, è un ginoide pseudo-meccanico, tutto il mondo antico conta automi favolosi. Ovvio che ad un certo punto ci fosse qualcuno che ne costruisse dei veri. Come Archita di Taranto, matematico del IV secolo a.C. che per primo creò automi reali: una colomba automatica e un cervo volante. Il mago Virgilio presente negli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (1213). Vescovo di Napoli, aveva costruito una mosca meccanica che per molti anni tenne lontane dalla città le mosche vere. Poiché questo Virgilio non sembra essere mai esistito, la sua mosca è una vera fantasia meccanica. Come la farfalla che Nathanaël Hawthorne colloca nel racconto L'artista del bello (1844): vi si narra la storia di un orologiaio che, alla ricerca dell'assoluto, giunge a isolare la bellezza in una sensibile farfalla meccanica, creatura che scolorisce di fronte al dubbio. 
I costruttori di automi hanno pensato di far giocare a scacchi le loro macchine, di farle suonare, scrivere, disegnare, ammiccare, ma mai di farle parlare. L'ispirazione giunge all'inventore dopo molti anni di meditazione, e proprio da uno dei famosi automi di Vaucanson: l'anatra che mangia, fa quaqua, digerisce ed espelle quel che ha mangiato. Ecco: dal deretano dell'anatra giunge all'inventore – in una simbiosi di meccanica e anatomia – l'idea delle labbra che parlano.Vestito con un abito ornato di perline, il turco troneggia su una pedana: sguardo torvo, raggianti occhi di vetro, baffetti di seta. L'automa è composto da 2199 pezzi di cui 1789 servono per farlo parlare. Quando il meccanismo è azionato si sentono dapprima dei rintocchi, seguiti da un stridore di ingranaggi. Il turco si muove, batte i piedi, alza una spalla, gira la testa, solleva le sopracciglia, gonfia il petto come per respirare. L'inventore preme un pedale e libera aria che, tramite alimentatori e mantici, risale verso un somiere. Le labbra d'argento si schiudono mostrando una lingua di metallo, e con una lentezza esasperante la voce tanto attesa, leggermente distorta, scandisce quattro sillabe: «Viva il Re!». 
L’attrattiva per l’ideazione di congegni capaci di muoversi come se dotati di vita si muove dai fratelli Banū Mūsā e al-Jazari della civiltà araba, Leonardo da Vinci e gli artigiani di Norimberga nel Rinascimento, fino alle anatomies mouvantes di Jacques de Vaucanson e agli automi di Pierre Jaquet-Droz e di Henri Maillardet. Da un’indeterminata età delle macchine, solenni e scultorei nella loro immutabilità imperitura, emergono i miraggi meccanici di Kazuhiko Nakamura. Le figure femminili di Nakamura, per quanto a prima vista letali, serbano difatti l’aura di ieraticità nostalgica ma imperturbabile delle bambole meccaniche presenti nelle trasposizioni artistiche, ad esempio, della figura dell’Olympia di E.T.A. Hoffman, della Coppélia, balletto pantomimico, della Danza delle Bambole Meccaniche dello Schiaccianoci di Pëtr Čajkovskij, fino allo struggente ballo di Casanova con una bambola meccanica sull’acqua ghiacciata del Canal Grande nell’omonimo film di Federico Fellini.

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