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mercoledì 7 febbraio 2018

Animalier: la tigre è servita


In questo caso riteniamo l'argomento serio ed importante, non le solite circonvoluzioni artistiche pseudoletterarie, psicosessuali, attitudinali, perchè il tema è parte dei fondamenti della civiltà, infatti come vestire, ed in quali occasioni, è un segno distintivo di civiltà. Lo stile animalier è un classico irriverente, un evergreen che si ripete di decennio in decennio e che si adatta a ogni epoca. Immancabilmente torna tra le tendenze e si declina anche su soprabiti, borse e stivali, per dare alla donna una grinta ed una personalità in linea con l'ambiente. Mai però di pelliccia, mai di pelle vera, a scapito di un animale come tigre, leopardo o pitone che sia, tassaticvamente stampato nel rispetto di eleganza e sensibilità ecologica.

Lo stile animalier, nell'antica Grecia, era conosciuto come zoote. Oggi è leopardato, zebrato, tigrato, pitonato o sintetizzato dai termini “maculato” e “animalier”. La decorazione tessile che ricorda il manto di animali esotici nell'epoca greco-romana si riconduceva al culto dionisiaco, associato all'ebrietà e alla lussuria, la cui figurazione biblica, la lonza dal “pel macolato”, impedisce a Dante Alighieri il cammino verso la salvezza.

Altri esempi illustrissimi nell'iconografia quattrocentesca di Maria Maddalena, spesso presente la pelliccia maculata, riferimento ai trascorsi lascivi della santa, ma l'animalier è persino associato all'esoterico e al satanico, specie durante il Rinascimento, quando si iniziò a studiare il paganesimo antico e la civiltà egizia, nella quale il leopardo rappresentava un vincolo con l'adilà, o anche, come descritto nel volume iconologia di Cesare Ripa del 1593, la figurazione della Libidine, con indosso una “pelle di pardo”.
Il significato del vestito maculato diventa sinonimo di grinta sessuale, esuberanza, esotismo, carnalità tutt'altro che tranquilla, intensità e pericolosità. L'immagine della pericolosa tigre da domare e sfamare sintetizza al meglio l'idea della donna animalier. Un magnete potentissimo per ogni maschio per un'idea di donna con artigli affilati.

Indimenticabile l'immagine del 1952 di Ava Gardner in perle e guêpière leopardata adagiata su un manto en pendant, o di Audrey Hepburn in cappello leopardato nel film Sciarada del 1963. L'animalier sfila in passerella per la prima volta in occasione della collezione 1947 di Christian Dior.

Vi è anche una visione popolana del maculato, che spesso contrasta con l'idea medio borghese di una società abituata alle divise. Siamo su opinioni alquanto banali ma diffuse, che associano questo stile a due tipologie di donne:

1) la signora di una certa età, molto abbronzata, dotata di braccialetti sonanti ai polsi, che si agghinda per sembrare quello che non è più,

2) la tamarra della domenica, che incontravi in "giro" la domenica pomeriggio, con maglia leopardata o variamente maculata, capelli decolorati con ricrescita spintissima, rozzamente grintosa o forse solo rozza.
Purtroppo se sei Kim Kardashian, non è il maculato che ti frega.
 
Fortunatamente a smentire questa idea, primo tra i primi, è arrivato Roberto Cavalli, che da sempre fascia le sue donne in abiti caratterizzati da una sensualità esplicita ed arrogante, molto accattivante ma con eleganza. Macchie animalesche e pizzi che ammiccano a quello che potrà succedere a fine serata.

Animalier è storia, arte, moda, fascino ed eleganza, cosa che non si può dire di tante altre cose viste sulle passerelle ed è anche grinta ed affermazione di sé.
Vogliamo sottolineare solo un unico elemento, piaccia o non piaccia, dobbiamo essere tutti d'accordo che parliamo esclusivemente di tessuto stampato.

Mai e mai più vestiti a danno di animali che si stanno purtroppo estinguendo ma nemmeno a danno di quelli che potrebbero essere allevati allo scopo. Lo stile è anche un comportamento civile.















lunedì 15 gennaio 2018

Outfit, eleganza e mascolinità, litigano spesso tra loro

Lo hanno detto tutti e lo ripetiamo anche noi: L‘eleganza è nel dettaglio. 
I dettami classici del dandy, secondo Lord Brummel, in Italia pare vengano interpretati alla lettera visto che il maschio italico spende in media anche 200 euro l’anno in accessori battendo i francesi, fermi a 150, gli inglesi a 120, i tedeschi a 100.

Alla base di outfit moderni ci sono quindi cappelli, sciarpe, occhiali, cravatte, pochette, cinture, orologi, bracciali e calze sgargianti e sneakers hyper tech ai piedi di tutti.

Ognuno apprezza legittimamente quello che vuole, da orologi a eyewear ma a noi piacciono le calze sgargianti (un po' sciocche), i bracciali estivi, cappelli e sciarpe. Le calze perchè nel grigiore invernale e senza voler essere di rottura (in tutti i sensi), un tocco di personalità non guasta, i bracciali perchè d'estate distinguono, cappelli perchè in tutte le stagioni proteggono e definiscono, le sciarpe perchè “un uomo elegante non dovrebbe mai mostrare la pelle del collo”, spiegava tempo fa lo stilista Egon Von Furstenberg.
 
Oggigiorno nessun uomo le indossa più per coprirsi, ma per pavoneggiarsi, se per anni è stato il regalo di riferimento di mogli e fidanzate (per marchiare il possesso), adesso la sciarpa viene scelta direttamente dagli uomini, come uno dei pochi accessori maschili in cui è permesso sbizzarrirsi, anche nel modo di annodarla, e proprio su questo cade la mascolinità più tradizionale.

Accessorio di carattere la sciarpa è usata per affermare un proprio stile personale ed unico. Indossate lunghissime sotto i cappotti, fermate in vita da cinture, annodate lateralmente o semplicemente appoggiate alle spalle ma anche annodate a drappo, con un giro, un incrocio, come uno scalda-stomaco, con un drappo all’inverso, alla parigina, con drappo incrociato, a doppio incrocio, le sciarpe sono sicuramente il punto di vicinanza massimo raggiunto tra uomini e donne, in un mondo che dove la differenzadi genere è ancora evidente.

Per gli uomini italiani l’eleganza si misura con l’accessorio per ben il 26% degli intervistati, al secondo posto le scarpe (23%), seguono gli indumenti (17%). 
I dati dicono che si sono persone che identificano l’eleganza nel possesso di una casa (7%) e di un’auto (5%), e si sottolinea questo dato per far capire che anche cafoni ed ignoranti,ormai sono costretti a rapportarsi con il concetto di eleganza, anche senza risultati evidenti.
Un'indagine sugli accessori che fanno impazzire di più gli uomini, ci dice che  sono i seguenti: 
primo posto per i calzini colorati, sempre piu richiesi anche da top manager (16%), 
secondo posto la borsa porta pc che deve essere style e funzionale (15%),
terzo posto per il trolley con maniglia pesa-bagaglio e app con gps per monitorare il bagaglio possibilmente in pelle rifinita made in Italy (14,5%). 

Seguono, nell’ordine: porta carta di credito (14%); la cover del cellulare con porta carte di credito e documenti (13%); immancabile la cravatta ma un po’ in ribasso (12,5%). 
Citiamo infine, solo perchèci piacciono molto, assolutamente da nerd ma notevoli ed anche molto utili, il bracciale possibilmente con uscita usb (12%); i portachiavi con usb e gps collegato a cellulare per ritrovare le chiavi (10%); lo zaino con uscita per ricarica per cellulare e pc (9%); i guanti con dita touchscreen per cellulare (7,5%).

La mascolinità si afferma solo alla fine con aggeggi elettronici irrinunciabili e con scelte meno effimere, mentre invece la scelta accurata di stile e materiale per la borsa da lavoro sta diventando elemento comune tra i sessi.

In conclusione non si vogliono esprimere giudizi su sensibilità e voglia di personalizzare la propria immagine, in un mondo piuttosto popoloso e poco erudito, spesso una macchia di sporco è quello che ci diversifica da tutti, ma l'eleganza che discende dalla bellezza e che si rapporta con la cultura, è qualcosa che spesso e purtroppo viene male interpretata anche dai professionisti, da quelli che erano grandi e che adesso sono solo dei marchi, supportati da pagine di fashion blogger ignoranti che spiegano quello che non capiscono. 
Saranno anche tutti ricchi, ma non per questo eleganti.


























lunedì 17 ottobre 2016

Fashion: Rosso passione ed arte per piedi


Passione, bellezza, arte, grinta, superbia, seduzione sono tutte parole che si addicono benissimo ad un bel paio di scarpe ed alla fortunata che le porta. Ad esempio l'inconfondibile suola rosso passione, è un ormai segnale inconfondibile di moda, fascino, eleganza, mondanità.

Quando si vede o meglio si nota una suola rossa, donne, ragazze e forse anche qualche uomo sanno che stanno incrociando una leggiadra Louboutin nel proprio cammino ed alle intenditrici questo incontro non comune, fa sobbalzare il cuore di ogni donna.

Chiunque indossi delle scarpe Louboutin, si addoba con i tre aggettivi che più si addicono a queste fortunate: femminilità, teatralità ed eleganza.
Le caratteristiche di una Louboutin sono la suola rossa ed il tacco vertiginoso, i risultati sempre sorprendenti e sempre molto eleganti. Creata nel 1992, Louboutin non smette di raccogliere consensi, confermandosi come la scarpa più desiderata dalle donne. La sua suola rossa è sinonimo di femminilità assoluta: La suola rossa “provocatrice di invidie” è stata anche protagonista di una causa legale, che ha come scopo la rivendicazione della suola stessa come patrimonio esclusivo delle calzature della maison.

Tra i tanti feticisti del piede femminile, e soprattuto tra le donne, va molto forte anche Manolo Blahnik, molto bravo, molto creativo, molto artistico. Famoso nel mondo da tempo, riesce comunque a tenere scintillante nell'universo fashion il suo brand.A Manolo piacciono molto gli stivali, che hanno una sorta di "collare" in suede, che dichiara pubblicamente di fare scarpe destinate a durare più di una stagione. "Non credo ai trend stagionali. E siccome sono dotato di un forte spirito di contraddizione amo fare l'esatto contrario di quello che fanno gli altri: creo scarpe che vogliono vivere più di sei mesi." ha affermato in un'intervista.

"Queste scelte a volte costano di vendere meno, alle volte - aggiunge il grande Manolo - ma la volgarità non mi piace, e non mi interessa vendere un paio di scarpe in più a costo di seguire delle tendenze che non sento mie. Posso arrivare ad un passo dalla volgarità, per venire incontro alle esigenze commerciali. Ma non vado mai oltre."


In Italia abbiamo un grandissimo rivoluzionario genio che risponde al nome di Cesare Paciotti. A sintetizzare la forte personalità del brand il ”pugnale” la cui elsa racchiude le iniziali dello stilista diventandone marchio inconfondibile della maison. Cesare ha rivoluzionato l’immagine della donna Paciotti, introducendo per la prima volta il vertiginoso e riconoscibile tacco stiletto, per scarpe estremamente femminili dall’incedere sensuale. Eleganza, qualità, bellezza, e stile italiano, impongono questo marchio nel mondo in un settore difficilissimo.  Un brand anticonformista che sin dalla sua prima collezione ha rotto gli schemi delle mode, molto bella anche la linea for men, sia per giovani e per uomini affermati, sicuri di sé. Scarpe italiane per vestire il mondo e per camminare a testa alta. 











mercoledì 4 novembre 2015

In alto i calici: Arriva il Novello

Produzione in calo ma si spera che proprio per questo migliori la qualità. Sembra che saranno appena 2 milioni le bottiglie italiane di vino Novello che debutteranno nel mercato. Il trend sarebbe estremamente negativo se si considera che appena dieci anni fa, nel 2005, se ne producevano 18 milioni, ma la quantità, specie in fatto di produzione vinicola italiana, non è tutto, anzi nel belpaese spesso sono le nicchie che ci riservano grandi e gradite sorprese.
Il dato emerge alla vigilia del "debouchage" ovvero la stappatura, stabilito con decreto del ministero delle Politiche agricole, che anticipa, come di consueto, la vendita rispetto al concorrente Beaujolais Nouveau francese, che si potrà assaggiare solo a partire dal 19 novembre. Leggero, con bassa gradazione e bouquet aromatico, il Novello, introdotto in Italia nel 1987, sconta vari handicap, dal prezzo medio elevato, alla tecnologia di produzione, piu' costosa che impone il consumo entro un massimo di 4 / 5 mesi.

Il vino Novello è un vino realizzato grazie una tecnica vinificatrice molto specifica che si basa sulla macerazione carbonica delle uve non pigiate. Nella vinificazione comune, infatti, le uve vengono pigiate, mentre nel caso del vino Novello l'uva viene fatta fermentare senza pigiatura degli acini di uva, trasformando così meno zuccheri della frutta in alcol cosa che terrà basso il valore alcolico del vino che ne verrà prodotto, conferendogli il classico gusto fruttato e amabile classico del vino novello. Il Beaujolais Nouveau ha regole molto più restrittive nella produzione al contrario dell'Italia (come al solito) poiché per essere riconosciuto tale deve avere il 100% di vino prodotto secondo la fermentazione carbonica

mercoledì 28 ottobre 2015

Raccontare una storia per fare quattrini


New age economica, ovvero alla riscoperta di una dimensione umana per gli affari: "Restate piccoli, fate grandi prodotti". Dopo lo scoppio della crisi nel 2008, e il fallimento delle prime banche, la teoria del "too big to fail" andava per la maggiore. Troppo grande per fallire declamava vigorosamente chi sosteneva la necessità di imprese ben strutturate, al riparo da fallimenti.
Quest'espressione dal significato intuitivo, enuncia un principio per cui l’autorità monetaria non consentirebbe di cadere in stato di insolvenza (e di fallire) a una banca o ad altro intermediario finanziario di dimensioni tali da generare potenziali effetti sistemici negativi. Fino ad un certo punto sarà stato anche vero, perchè comunque ci sono stati casi di crolli clamorosi e disastrosi.

La ricetta del guru
Philip Kotler, autore di Marketing Management (20 milioni di copie, 14 edizioni) ha tracciato "Il futuro del sistema Italia". La sua ricetta per sviluppare un’idea di successo nel nostro Paese e quella di continuare a produrre ciò che il mondo apprezza dell’Italia: Moda, lusso, cibo e business su piccola scala. L’Italia ha una leadership in questi settori, pertanto dovrà privilegiare le sue eccellenze. 
Il sistema Italia può tornare protagonista senza esprimere una leadership mondiale nell’hi-tech, bisognerebbe rendere virtuosa la dimensione piuccola delle aziende, che potrebbe fare un lavoro migliore ed essere agile, senza il freno di molte grandi fabbriche e vincoli.
La chiave non è la dimensione dell’azienda, è importante assicurarsi di essere conosciuti laddove ci sono popolazioni numerose, che hanno i soldi per comprare i prodotti italiani, applicando una teoria chiamata Hidden Champions Companies, secondo la quale devi essere la migliore azienda, per una specifica classe di prodotti, che abbia un gruppo di compratori da qualche parte. La piccola azienda italiana deve trovare una nicchia di mercato e presidiarla.

Raccontare una storia, per fare questo bisogna avere un buon uomo marketing, esperto di storytelling. Tutte le aziende hanno una storia, ma ci sono molti modi per raccontarla. Un buon prodotto, per un target di clienti ben definito, che sappia attrarre finanziamenti, attraverso un racconto d’appeal anche per i media. Nella realtà di oggi vediamo che l'incapacità di farsi conoscere, promuoversi, raccontarsi, la piccolezza intellettuale che non mette in gioco sinergie e collaborazioni tra aziende, è il primo limite per la rivincita del made in Italy.


giovedì 15 ottobre 2015

Sei ore per essere civili


Favolosi, lanciano un'idea non proprio innovativa, ma fondamentale: lavorare sei ore al giorno ed essere più felici. La proposta viene dalla civile Svezia, che sta valuntando il bisogno di incrementare il “tasso di felicità” del paese, forse perchè la depressione invernale colpisce più che altrove, o forse solo perchè sono più civili di noi. Sembra che nella solare, bella, tranquilla Italia, non ci sia nessun bisogno di incrementare il tasso di felicità perchè pizza e mandolini ci affrancano da tutto. Sbagliato, anzi tutto molto sbagliato a cominciare da dipendenti pubblici che se lavorassero effettivamente sei ore, renderebbero tutti più felici, dalla bellezza italiana che come per le signore molto affaticate tende a svanire con il tempo sotto una montagna di frane, pattume in strada, inquinamenti vari, dalla solarità del paese che in questi anni si è vista poco, se poi si vogliono considerare solari Monti, Fornero, Verdini, Alfano, Poletti o Del Rio, e tanti artisti ed intellettuali, non siamo nello stesso concetto.

Gli impiegati svedesi, depressi dall'inverno, hanno già adottato il cambiamento con l’obiettivo di compiere più attività lavorativa in un minor lasso di tempo, così da poter avere a disposizione più ore da dedicare alla propria vita privata. La Toyota di Goteborg, la seconda città del Paese, è passata alle sei ore ben tredici anni fa con il risultato che la società ha avuto dipendenti più felici, un più basso tasso di avvicendamenti tra i lavoratori e un incremento di utili.

Filimundus, uno sviluppatore di applicazioni di base a Stoccolma, ha introdotto le sei ore lo scorso anno. “Le otto ore lavorative non sono poi così effettive come si pensa”, sostiene Linus Felds, l’amministratore delegato della società. “Rimanere fissi su uno stesso lavoro per otto ore è difficile. Per riuscirci, siamo soliti intervallare il lavoro con pause. E al tempo stesso facciamo fatica a gestire la nostra vita privata fuori dall’ufficio”. Le stesse parole invece non arrivano anche da Confindustria italiana, ma nemmeno dalle associazioni di artigiani, anzi non si sentono proprio da nessuno in Italia, però troviamo mediatori di lavoro ovvero caporali, che ritengono di pagare molto meno per far lavorare molto di più, e cottimisti, che non sono ottimisti, che vorrebbero pagare a risultato.  A Nord hanno lavoratori, qui a sud si cercano schiavi, ma non è scoppiata una guerra di secessione per liberare gli schiavi? Ed i sudisti anche se illuminati dal sole, hanno perso.





mercoledì 3 giugno 2015

Orologi, arte ed esposizione da menzione


Il 17 settembre 1755: Jean-Marc Vacheron, un giovane maestro orologiaio ginevrino di 24 anni, fonda un laboratorio di orologeria e assume il suo primo apprendista con l'intento di trasmettergli il proprio savoir-faire. Il contratto tra i due rappresenta l’atto costitutivo di Vacheron Constantin, la più antica Manifattura orologiera al mondo con un'attività ininterrotta dalla sua fondazione.

Nel 2005: Vacheron Constantin festeggia 250 anni di attività. A noi questi oggetti piacciono molto, molto più dei Rolex che troviamo comuni e dozzinali, e proprio per questo si sottolinea anche se già famoso e riconosciuto.

Non li compreremo, come non compriamo arte favolosa, ma così come apprezziamo una grande opera in un museo rinomato, non possiamo che apprezzare bellezza ed ingegno, ma tante parole non esprimono bene l'ammirazione, lasciamo che siano le foto a parlare. 

Si è aperta in Cina La mostra “Geneva at the Heart of Time – The Origin of Swiss WatchmakingCulture” organizzata dal Capital Museum, China in collaborazione con il Museo  di Arte e Storia, Geneva, e Vacheron Constantin ha presentato circa 80 pezzi esclusivi della sua collezione patrimonio, tra cui il primo orologio da tasca creato da Jean-Marc Vacheron, fondatore di Vacheron Constantin.
In occasione del 65 ° anniversario delle relazioni bilaterali tra i due paesi, Vacheron Constantin e il Museo d'Arte e Storia di Ginevra, hanno orgogliosamente presentato un noto designer svizzero, Claudio Colucci e il signor Zhu Bingren, grande maestro del mestiere di lavorazione del bronzo,  per una collaborazione capace di creare uno speciale pezzo d'arte. Questa scultura in bronzo di due metri di altezza, dal nome di "The Power of Hands", raffigura due mani in movimento mentre lavorano.